Le fiamme del Sinai, Libano, Turchia e Siria sulla scia delle Rivoluzioni Arabe

Le dinamiche che dalla fine del 2010 hanno spinto i paesi del Magreb ad una massiccia reazione a
catena, quella che ormai è stata definita “Primavera Araba”, sono ad oggi difficilmente
comprensibili. Meglio, vanno a comporre un quadro che esula dalla banalizzazione che ci siamo
autoimposti, poco più di un vago istinto di affiliazione, non appena la spirale che porta dalla rivolta,
alla comparsa di un governante fino allora sconosciuto, alla denuncia dello stesso, ci spinge ad
assimilare i moti di un popolo di cui sappiamo zero ad una ancor più vaga conoscenza del nostro
risorgimento, o della nostra liberazione dal fascismo.

Il risultato è quello da me già evidenziato riguardo alla cattura ed uccisione di Muhammar
Gheddafi [1], cioè la distorsione posticcia causata dalla volontà di imporre una tabellina dei buoni e
dei cattivi, mettere i voti prima della fine della ricreazione, poi tornarsene tranquillamente a dormire.
Appiccicare l’etichetta di “rivoluzione” per nobilitare gli animi, trovare il mostro e concentrarsi
perché gli scoppi la testa, così da poter dire di aver fatto i compiti a casa. Sperimentare i propri due
minuti d’odio, come d’obbligo in una civiltà libera.

La Siria

Dato, però, che amiamo farci smentire, diviene necessario iniziare questa panoramica dalle parole
della Lega Araba. Interessanti, perché interessate, ma nonostante ciò singolarmente oggettive:

“Dato che la rivolta siriana sta prendendo una forma mostruosa, ciò sta portando solo
all’incremento dei crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. La guerra siriana che ha
lasciato migliaia di morti e ha reso molti altri senza casa è sospetta di crimini di guerra
commessi sia dal governo sia dai ribelli” [2]

Il numero di siriani vittime di questa complessa carneficina incrociata, secondo la Lega Araba si
aggirerebbe attorno ai 20000 morti, naturalmente solo in seguito a mesi di torture [3]. Questo esclusivamente
ad enumerare le vittime delle forze di Bashar Al Asssad. Certo, va sottolineato come la stessa Lega Araba sia
fortemente coinvolta -in particolare gli stati che più vi hanno influenza, Qatar e Arabia Saudita [4]-,
quindi spingere per una drammatizzazione della guerra in corso sarebbe in linea con le mire
dell’organizzazione. Il dato, tuttavia, è direttamente ripreso dal report di Human Rights Watch, che
però accenna a 20000 detenuti, senza fare riferimento a decessi in seguito a torture [5]. Il Guardian,
invece, circa due settimane prima, riportando dati ONU, parlava genericamente di 20000 morti in
Siria, negli ultimi diciotto mesi, aggiungendo la voce dei ribelli che fa salire la cifra a 30000 [6].
Questo dovrebbe dire qualcosa sulla confusione che regna nel paese, e sulla difficoltà di delineare
gli effetti della rivolta sulla popolazione.

Ad implementare tale confusione ci sono gli interessi in gioco nell’area siriana, nel cui stato si
annidano e agiscono già da un po’ agenti dei servizi segreti di mezzo mondo. Innanzitutto, con
un’attività di monitoraggio, quale quella del tedesco Bundesnachrichtendienst (BND), attuata
tramite navi spia Hoker, poi tramite supporto logistico e d’intelligence da parte delle forze anglofrancesi [7].
Aggiungo, poi,  una nota personale, riguardo le metodologie applicate dai lealisti di Assad,
analoghe, a mio parere, a quelle utilizzate dallo Shah di Persia, prima dell’avvento di Khomeini,
notoriamente implementate dalla formazione ricevuta dal servizio statunitense della CIA. E’
un’analogia che credo andrebbe approfondita.

L’intervento internazionale in Siria, però, non si sta svolgendo solamente attraverso la formazione e
il supporto logistico. Il veto opposto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu da paesi come la Russia,
infatti, sta portando il supporto esterno a canalizzarsi anche nella tattica di procurare armi alle parti
in lotta. La stessa Mosca rifornisce l’esercito lealista di armi e radar, mentre l’Iran vi porta i propri
miliziani, come sta facendo anche Hezbollah [8].

Fondamentale è (e sarà), poi, il ruolo della Turchia. Non solo perché è dalla Turchia (e da Cipro [9])
che stanno passando munizioni, armi e soldati a supporto dell’ESL (Esercito Siriano Libero) [10], ma
anche in virtù della posizione privilegiata dal punto di vista logistico, che permette di fare del paese
un perfetto ponte-radio e base per intercettare le comunicazioni dei lealisti [11], quanto una confinante
minaccia dalla quale infastidire il regime, magari grazie ai missili Stinger, di fabbricazione USA, o
i missili anticarro e i soldati messi gentilmente a disposizione (e pagati), come molte cose in questa
guerra civile, da Qatar e Arabia Saudita (indispensabili, per le loro risorse economiche, neanche
paragonabili a quelle della Turchia)[12].
E’, infine, proprio in Turchia che, sotto le direttive del comandante dell’ESL Riad al-Asaad, una
milizia di ex-lealisti libici è stanziata [13].

Il Libano

Questo riguardo la Siria. Il Libano, invece? Il Libano vive l’incubo della guerra civile. La presenza
destabilizzante di Hezbollah, nonché di milizie salafite, sovvenzionate, come d’abitudine, ormai,
dall’Arabia Saudita, hanno spinto, non dovrebbe sorprendere, il comandante in capo delle forze
armate libanesi, Jean Kahwaji, ad affermare quanto segue:

“Qualunque sia la situazione in Siria, le forze armate libanesi sono sempre pronte ad
assolvere il proprio compito e ad assumersi le proprie responsabilità nazionali in
conformità con le decisioni prese dal potere politico, allo scopo di limitare le ripercussioni
della situazione siriana sul Libano, per proteggere le popolazioni delle aree di frontiera ed
evitare l’estensione del conflitto all’interno del territorio libanese. […] L’esercito impedirà
che il Libano si trasformi in un campo di battaglia dove si affronterebbero le fazioni siriane
o le potenze regionali.” [14]

Certo, Geopoliticamente, sulla scorta di Lorenzo Trombetta mette in guardia da crisi di panico [15].
Pare evidente, però, che qualcosa si muova, e, soprattutto, che l’attività internazionale attorno alla
migrazione verso est delle Rivoluzioni Arabe [16] si stia facendo forte, proprio perché gli avvenimenti
in paesi come la Libia, la Tunisia, l’Egitto e la Siria – e questo è l’unico motivo fondato per
chiamarla Primavera Araba- sono tra loro interrelati e inscindibili. Attorno ad un tale focolaio, che
ruota sul perno della penisola del Sinai, troppi paesi si muovono, su troppi fronti, tutelando troppi
interessi con troppo vigore, perché la comunità internazionale possa considerarsi al sicuro.

Potenze globali, potenze regionali, conflitti religiosi e biechi interessi

Non si tratta infatti delle ormai usuali beghe tra big five, conflitti che al di là di portare al massacro
il paese conteso e bloccare il Consiglio di Sicurezza non vanno. Non si tratta nemmeno di quella
che, nella visione occidentale, è pura barbarie islamica. Non è nemmeno un conflitto che vede
scontrarsi i “secondari” interessi dei paesi minori.

E’ invece una dinamica pericolosissima, e non per un qualche gioco, nella quale finiscono
dinamiche tra potenze globali, scontri d’interesse regionali, conflitti religiosi e anche di
mantenimento di garanzie per il proprio approvvigionamento energetico.

Se infatti Russia, Stati Uniti, Regno Unito e Francia giocano seriamente al conflitto nell’infinita
lotta per ridefinire gli assetti tra potenze globali, possiamo star pur certi che la Cina non si farà
estromettere, specie in Nord Africa, dove la penetrazione economica di Pechino è molto forte. Né
tanto meno lo permetterà la Germania, nel tentativo di affermarsi finalmente in quel club esclusivo
dei big five che, ad oggi, non ha davvero più significato di esistere.

Nella regione, invece, più complessa è la lettura di come agirà la Russia. Medvedev ha annunciato
solennemente la propria opposizione all’invasione della Siria, paventando addirittura il rischio di
una guerra nucleare, nel caso la sovranità di Damasco fosse violata. Ancora una volta facciamo
riferimento al sito Geopoliticamente, nel riferire impietosamente quali biechi interessi siano dietro
ad un tale atteggiamento della Russia:

Con l’eventuale fine di Assad, Mosca perderebbe un grosso cliente nella vendita di
armi, oltre ad un avamposto strategico– l’ultimo, probabilmente – nella regione. Inoltre,
anche i russi hanno capito che per l’Occidente Damasco è una tappa obbligata sulla strada
che porta a Teheran. Se i regimi in questione fossero rovesciati, Mosca vedrebbe i confini
dell’ex Primo mondo spingersi fin dentro quello che considera il proprio spazio vitale.
Inaccettabile come prospettiva. Di conseguenza ha sempre ribadito con fermezza la propria
volontà di bloccare qualsiasi tentativo di intervenire in Siria con il benestare delle Nazioni
Unite.” [17]

Nutro qualche dubbio, però, riguardo le energie che Mosca sarebbe disposta a spendere in difesa di
Assad, ed alla base di questo dubbio ci sono due considerazioni. La prima e che dal punto di vista
geoeconomico, la Siria disponga di riserve di petrolio sufficienti a far muovere Medvedev(1,57%
del totale, contro l’oltre 6% della Russia), ma in questo settore va considerato il risultato uscito dalle
urne georgiane, con la nomina a premier, ieri, di Bizdina Ivanishvili, di convinzioni filo-russe,
contrariamente di quanto si possa dire dell’attuale capo di stato, Mikheil Saakashvili. Certo,
bisognerà vedere quanto Ivanishvili sarà disposto (e in grado) di sostenere la causa russa in Georgia,
ma certo la possibilità di entrare economicamente nelle imponenti riserve del Caucaso sarebbe
molto più allettante per la Russia. La seconda è che, pur disponendo in Siria di un importante
snodo, la Russia già dispone di uno sbocco, non magari sul Mediterraneo, ma certamente sul Mar
Nero, e mantenendo un rapporto minimamente cordiale con Ankara (contro la quale, sottolineo, si
schiererebbe se dovesse ancora difendere Assad), potrebbe sfruttare quello sbocco.

Aggiungo, ovviamente, che tali considerazioni si mostrano inevitabilmente deboli, di fronte alla
volontà di mantenere un proprio spazio in Medio Oriente, vista l’influenza americana sull’Arabia
Saudita. Voglio solo mettere in evidenza come quella della Russia, in caso, sarebbe soprattutto
politica di potenza, più che un pragmatismo dimostrato nell’ultima decade sotto Putin e Medvedev.

Sempre nell’ottica regionale, infine, centrale sarà l’atteggiamento dell’Iran, reso complesso dalla
duplice necessità di spiegare (se mai intenda farlo) un eventuale appoggio ad un qualsiasi
movimento islamista, e l’altrettanto stringente necessità di evitare un accerchiamento, quale
effettivamente sembra essere quello sul governo di Teheran.

Se a tali dinamiche si assommano una serie di conflitti religiosi, quali ad esempio quello che vede
contrapposta la Lega Araba (quindi, ripeto, Arabia Saudita e Qatar in testa) e Siria, in cui la prima
intende:

porre fine al dominio sciita per riportare al potere la maggioranza sunnita, in modo che
in un futuro appuntamento elettorale il popolo possa consegnare la nascitura
“democrazia” siriana nelle mani della Fratellanza Musulmana, sulla falsariga di quanto
sta già avvenendo in Tunisia ed Egitto.” [18]

allora appare evidente che lo scenario del Medio Oriente è oggi, più di quanto sia stato in passato,
esplosivo e instabile. Ad apporre la firma su questa instabilità, gli stati di tutto il mondo, che al
momento, mandando i propri servizi, i propri soldati, le proprie armi, non si accorgono di quanto
pericoloso tutto questo possa essere [19].
Tutto ciò è pericoloso, perché stavolta non si tratta di uno sperduto paese di pochi milioni di anime,
isolato da foreste impenetrabili e caratterizzato da idiomi assolutamente incomprensibili. Non si
tratta di un angolo lontano dagli occhi nel quale sperimentare qualsiasi orrore ci venga in mente
senza che nessuno se ne accorga, mandandoci spiritati, fanatici e carnefici, o facendoci diventare
una generazione tale.
Si tratta del centro economico del pianeta, assieme a Stati Uniti e Cina, e si sta caratterizzando per
una instabilità che stavolta è univoca, interrelata tra i vari stati, e, soprattutto, coinvolge mezzo
mondo, che, forse stanco di farsi la guerra a colpi di spread, ha deciso di riaprire la scatola del risiko
(o il vaso di pandora). E quando tutto ciò è fatto nel bel mezzo della crisi più grave dal 1929, in una
società mondiale fondata sul petrolio, e avendo anche a che fare con un uomo dal cuore d’oro come
Mahmud Ahmadinejad, non c’è proprio nulla, nulla da scherzare.
_

1 “La Libia e la morte dei dittatori nelle rivoluzioni arabe
2 “War Crimes in Syrian War” sul sito della Lega Araba (traduzione mia)
3 id.id.
4 sul ruolo di Qatar e Arabia Saudita in Siria, “Siria, la guerra invisibile delle spie
5 “World Report 2012: Syria
6 “Syrian rebels accused of war crimes
7 al riguardo faccio riferimento allo splendido articolo di Geopoliticamente “Anche l’Italia nella guerra invisibile in
Siria
8 id.id
9 id.id Attraverso la base britannica di Akrotiry
10 Americane “C.I.A Said to Aid in Steering Arms to Syrian Opposition“, sul New York Times, ma anche Israeliane, ad
Hatay (sud della Turchia), quartier generale dell’ESL “In Siria la guerra c’è già, e la guidano i servizi segreti di
Parigi
11 “Anche l’Italia nella guerra invisibile in Siria
12 “Siria la guerra invisibile delle spie
13 “Siria la guerra invisibile delle spie“. Marco Cesario, al riguardo di al-Asaad, definisce la sua figura come quella di
un burattino in mezzo a interessi di Turchia, Francia e del partito dei Fratelli Musulmani. L’analisi mi sembra
plausibile, in considerazione anche del ruolo francese nelle rivolte nel Magreb, e l’effetto che ciò ha avuto, ossia
l’avvento di Morsi, tanto musulmano quanto poco raccomandabile.
14 “Il Libano e l’internazionalizzazione della crisi siriana
15 “Il Libano non è ancora sull’orlo dell’abisso siriano
16 Da me definite tali perché movimenti rivoluzionari, nonostante quanto possano a noi essere simpatici, e plurali,
ossia differenziati, per quanto grande possa essere la nostra ignoranza rispetto a tali paesi.
17 “Le due guerre fredde in Siria
18 “Le due guerre fredde in Siria
19 Basti la considerazione che la crisi che nel medioriente scoppiò nei primi anni ’70 ha comportato uno shock di
proporzioni estremamente vaste, tali da colpire tutte le economie dell’occidente. Figurarsi se oggi l’instabilità si
spostasse verso l’Iran.

Comments
6 Responses to “Le fiamme del Sinai, Libano, Turchia e Siria sulla scia delle Rivoluzioni Arabe”
  1. fausto ha detto:

    Le rivolte in Tunisia, Egitto e Siria sono esplose per la mancanza di lavoro ed il costo dei beni di prima necessità. Qualcuno le ha cavalcate, ma alla fine chi protesta per il pane vuole avere pane: al momento della verità cosa potranno offrire davvero i maneggioni a queste persone furenti?

    Ho paura che quelle del pentagono siano pericolose masturbazioni mentali, avulse da una realtà sempre più pericolosa.

    • Francesco Finucci ha detto:

      Fausto, hai pienamente ragione, a questo proposito. Al riguardo credo, però, che anche le popolazioni del luogo debbano capire che affidarsi alle milizie o ai capipopolo non serva a nulla, se non a far salire chi segue questi capipopolo, portando al massacro chi non si adatta in fretta. A vincere è la microviolenza, la connivenza e la corruzione. Per dirne una, si sentono molti tunisini inneggiare a Osama Bin Laden. Sia chiaro, sulle modalità criminali della sua esecuzione ho scritto e vorrei scrivere di più in futuro. Inneggiare a qualcuno solo perché è stato ammazzato, però, è tremendamente pericoloso, e il magreb di questi personaggi ne ha accumulati tanti senza che nessuno si accorgesse che forse proprio dei martiri non erano.
      Per concludere, la fame esiste, e con quella non si discute. Certo è che se per i morsi della fame spacchi la testa al tuo vicino che ha un piatto di pasta in più, alla fine questo raptus lo paghi, in un modo o nell’altro.

      PS: grazie del passaggio e del commento

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